In Ticino è stato pubblicato da pochi mesi un libro con tre saggi sul 1918 (Ribellarsi per avanzare, Bellinzona, Fond. Pellegrini Canevascini), il terzo dei quali, di Rosario Talarico, è dedicato alla pandemia di grippe nel Cantone. “Qui si è diffusa una forte malattia chiamata spagnola. È una specie di peste, viene la febbre, si attacca al polmone e in 4 o 5 giorni si muore.” Anche i medici erano sconcertati e impotenti di fronte ad un morbo che non sapevano classificare.
La prima ondata giunse da Cina e Giappone, ma anche da focolai negli USA; fu chiamata “spagnola” perché la Spagna, neutrale nel conflitto mondiale in corso, pubblicò subito i dati, mentre i belligeranti li nascosero. Era la primavera del 1918; pur essendo molto contagiosa, fu mite e “benigna”. Così la seconda ondata, sopraggiunta in autunno, fu sottovalutata. La pandemia causò un numero di decessi molto più alto di quelli della Prima guerra mondiale.
In Svizzera comparve ai primi di maggio tra i militari e si diffuse ai civili dalla Svizzera Romanda. Tra il luglio 1918 e il giugno 1919 furono contagiati, secondo i dati ufficiali, 660’000 individui, ma il numero degli ammalati era in realtà stimato a circa 2 milioni, oltre metà della popolazione elvetica. Le vittime furono 24’500, in maggioranza giovani adulti tra i 20 e i 40 anni. La vita economica si paralizzò e il sistema sanitario e assistenziale fu portato al collasso. In Ticino i casi di contagio furono 21’453, ma il Consiglio di Stato parlò di circa 80’000 ammalati sui 152’000 abitanti del Cantone. Nel solo secondo semestre del 1918 i morti furono 925.
Quali misure si adottarono per ridurre il diffondersi del morbo? Il 24 luglio un decreto cantonale proibiva assembramenti e riunioni in spazi chiusi, vietava quindi spettacoli, rappresentazioni teatrali, proiezioni cinematografiche, concerti, feste e balli. Le funzioni religiose furono limitate progressivamente, lasciando quelle del mattino presto, frequentate da poca gente; ai funerali potevano assistere solo i famigliari. In ottobre le misure furono inasprite e venne istituito il servizio cantonale di igiene. Nuovo decreto che chiedeva di evitare i contatti con i malati, curare l’igiene, arieggiare gli spazi abitativi; sconsigliato recarsi all’osteria, come pure usare tram e treni. Rinunciare a stringere la mano, usare il fazzoletto, non sputare. Furono chiuse le scuole, i cui locali spesso divennero lazzaretto.
La struttura sanitaria, malgrado la ricerca di volontari e di studenti in medicina per assistere i malati presentò un forte grado di disservizio, degrado, addirittura abbandono. I comuni spesso non avevano i soldi per aprire e gestire lazzaretti, o faticavano anche solo a trovare un posto per organizzarli, come a Biasca, dove metà della popolazione fu colpita e i morti ammontarono a 42. A Vogorno mancò del tutto la necessaria assistenza: i contagiati furono 350 su una popolazione di 650 anime, i morti 17. I decessi ad Isone furono 28 e toccata metà degli 800 abitanti, soprattutto dopo la smobilitazione del Reggimento 30 verso fine novembre.
I medici non sapevano come trattare la malattia; le autorità poterono solo informare la popolazione che non si trattava né di peste, né di colera, né di tifo (di cui c’era appena stata un’ondata a Bellinzona): era influenza, quindi i medici sapevano cosa fare. Ma non era così. Si tornò a prescrivere salassi, ad usare purganti, sostanze sudorifere, digiuni, bevande calde e decotti. Angoscia e diffidenza si impadronirono di molti. La credibilità dei medici fu messa alla prova; uno di loro venne deriso perché consigliava di applicare una benda sulla bocca e le narici. Comparvero ciarlatani, rimedi miracolosi, panacee, anche in pubblicità sui giornali: acqua di colonia al Melitolo, polvere Serodent a base di canfora, birre e aperitivi, come l’Amer blanc au citron, “l’unico per tenere lontano la grippe”. Anche il tabacco e l’alcool curavano!
Si sparse la voce che si trattasse di un’arma batteriologica segreta scoperta in Germania e destinata a sovvertire gli esiti della guerra. Anche scienziati e politici diedero credito alla notizia. Alcuni medici furono presi dalla paura e la penuria di curanti fu accentuata dalle defezioni di chi preferì ritirarsi, “far le valigie per aure pure del San Bernardino”. Si verificarono però atti eroici come quelli del gruppo di volontari detti “I monatti”, organizzati a Bodio dal segretario sindacale Domenico Visani e dal futuro vescovo Angelo Jelmini, che aiutarono nel limite del possibile gli oltre mille operai, in maggioranza italiani, presenti nel paese.
La fase più acuta della pandemia coincise con lo sciopero generale di novembre, tre giorni che videro la mobilitazione di 250’000 operai ma anche quella di molti reparti dell’esercito, tra cui il Reggimento 30, che non entrò mai in contatto con gli scioperanti ma fu colpito dalla grippe nei viaggi e durante la sfilata voluta dal colonnello Sonderegger per solennizzare la vittoria sui sediziosi.
La grippe fu uno schiaffo alla presunzione di chi considerava i progressi medici in grado di risolvere tutti i problemi di salute pubblica. Nel contempo mise in evidenza le conseguenze delle condizioni sociali della classe operaia: “mancano gli alloggi, mancano i locali, manca l’igiene. Le famiglie dormono in una promiscuità spaventosa, indecente”. Il lettore è senza dubbio in grado di tracciare i paralleli e di vedere le differenze rispetto alla situazione odierna. Abbiamo più strumenti, una medicina molto più avanzata, mezzi di informazione quasi eccessivi, un livello di vita che ci garantisce spazi abitativi, conoscenza delle norme igieniche. Tuttavia la nostra società continua a fondarsi sul profitto e si trova quindi di fronte ad ostacoli gravi quando le norme sanitarie intaccano i ritmi dell’economia. Cosa fare, con che ritmi, come uscirne e, in seguito, come prevenire simili situazioni è una riflessione che dovrà toccare le basi stesse del nostro sistema; richiederà uno sforzo immane e molto coraggio, come levare le ancore per un viaggio verso nuove terre.
di Gabriele Rossi. Articolo pubblicato da LaRegione, 21.03.2020
Il capitolo curato da Rosario Talarico è consultabile a questo link: