Di Claudio Carrer tratto da Area

Il presidente dell’Uss Pierre-Yves Maillard spiega perché va combattuta la revisione della Legge sulla previdenza professionale imposta dalla destra. Si riducono sia i salari sia le pensioni.

«Un affronto alle donne e ai lavoratori», «un attacco frontale alla qualità di vita dei pensionati di oggi e di domani». Questo è la revisione della Legge sulla previdenza professionale LPP21 adottata dal Parlamento, affermano i rappresentanti dell’ampia coalizione sindacale e politica che contro questa riforma ha promosso il referendum (qui si trova il formulario delle firme). Una coalizione di cui fanno parte, oltre a Unia, le federazioni dell’Unione sindacale svizzera (Uss), Travail Suisse, il Partito socialista e i Verdi. Della genesi e dell’impatto di questa revisione legislativa parliamo con il presidente dell’Uss e consigliere nazionale socialista Pierre-Yves Maillard.

Pierre-Yves Maillard, le Camere federali hanno accettato la riforma LPP21, la cui origine è un compromesso tra sindacati e padronato, poi ripreso dal Consiglio federale ma naufragato in Parlamento. Qual è la natura della riforma uscita dai lavori del legislativo e perché è necessario combatterla con un referendum?

Il Consiglio federale e la destra del Parlamento ritengono che con l’attuale tasso di conversione del 6,8% nella parte obbligatoria del 2° pilastro le prestazioni pensionistiche non sarebbero più finanziabili. Secondo loro, ai pensionati si verserebbero fino a 6 miliardi di franchi all’anno in eccesso. Per rimediare a questa situazione, vogliono abbassare il tasso di conversione, cioè ridurre le future pensioni. È un discorso che portano avanti da 20 anni. Ma durante questo periodo, il capitale delle casse pensioni è più che raddoppiato, passando da 500 miliardi di franchi a oltre 1.000 miliardi. E nel contempo i tassi di conversione nella parte sovra-obbligatoria sono crollati, producendo una riduzione delle rendite dei nuovi pensionati del 20 per cento (a parità di capitale accumulato) rispetto al 2008.

Abbiamo sempre ritenuto che una riduzione del tasso di conversione obbligatorio fosse sbagliata, ma abbiamo negoziato un compromesso con i datori di lavoro che introduceva una componente di solidarietà nel 2° pilastro. Questo avrebbe migliorato le pensioni, soprattutto per i lavoratori a basso salario e per le donne. Questo compromesso, equilibrato e per noi accettabile, era stato accolto anche dal Consiglio federale. Ma la destra del Parlamento lo ha distrutto eliminando la componente di ripartizione e solidarietà. Ora ci ritroviamo con una riforma che comporterebbe pensioni più basse e contributi salariali più alti. Il che è inaccettabile. 

Quale era la soluzione trovata dai partner sociali?

Insieme all’Unione padronale, abbiamo elaborato un meccanismo che compensava la riduzione del tasso di conversione attraverso un immediato miglioramento delle pensioni più basse. Un contributo dello 0,5% sulla massa salariale, fino a 860.000 franchi di retribuzione annuale, garantirebbe le risorse necessarie per finanziare rendite complementari a tutti gli assicurati delle prime generazioni toccate dalla riforma. Grazie a questo contributo, che riguardava gli stipendi elevati, si potevano versare 200 franchi in più a ogni pensionato per le prime sette generazioni e per quelle successive importi a decrescere, fino a una soglia garantita di circa 100 franchi. Ciò avrebbe permesso di evitare una riduzione delle pensioni e di garantire una sovra-compensazione della riduzione del tasso di conversione per i redditi bassi. Inoltre, il compromesso prevedeva il dimezzamento della deduzione di coordinamento, che avrebbe aumentato il salario assicurato e permesso di assoggettare alla Lpp un maggior numero di persone e a costi sopportabili. 

Perché il compromesso non ha avuto successo in parlamento?

Il compromesso è stato attaccato nella sua essenza: il meccanismo di ripartizione dello 0,5% è stato osteggiato dai Liberali radicali, dal Centro, dai Verdi Liberali e dall’Udc. Per costoro, chiedere ai ricchi di pagare un po’ di più è fuori discussione. Si sono dunque rifiutati di introdurre un po’ di solidarietà in un mondo in cui il costo della vita aumenta e le retribuzioni non tengono il passo per le persone con redditi modesti e per la classe media. Per loro vale il principio “tutti paghino, tranne i ricchi!”. 
Per evitare un crollo drastico delle pensioni, hanno deciso di ridurre fortemente la deduzione di coordinamento al 20% del salario assicurato. Ciò comporterà un aumento brutale dei contributi per i dipendenti meno pagati, con riduzioni nette dei salari fino al 6%. In totale, si tratta di 2,1 miliardi di contributi aggiuntivi, pagati da dipendenti e datori di lavoro. Gli effetti cumulativi di questo aumento dei contributi e della riduzione del tasso di conversione possono essere illustrati con un esempio concreto: una donna di 50 anni che guadagna 4.500 franchi al mese pagherà 147 franchi in più di contributi mensili e riceverà 8 franchi in meno di pensione. Le persone con uno stipendio più basso potrebbero ottenere una pensione migliore, ma con un forte aumento dei contributi. Il problema è che si tratterebbe di pensioni irrisorie, che non avrebbero alcun effetto sul reddito di molte di queste persone, che dovrebbero comunque richiedere prestazioni complementari.

Tutti i partiti di destra, così come Economiesuisse e l’Unione svizzera degli imprenditori (Usi), hanno accolto con favore l’adozione della riforma. Per loro si tratta di una “modernizzazione favorevole ai giovani, alle donne, ai lavoratori part-time e alla classe media”. Come replica?

La LPP21 non è certamente una riforma favorevole al ceto medio, che è anzi il grande perdente. Per i lavoratori a basso reddito, soprattutto donne e giovani, l’unica certezza è che i salari netti diminuiranno in modo massiccio proprio nel momento in cui avrebbero più bisogno di questi soldi, in un contesto di forte inflazione e quando le garanzie pensionistiche restano ipotetiche e modeste. 
Sono evidenti i limiti del meccanismo di capitalizzazione per un sistema pensionistico: non è in grado di garantire a tutti un minimo vitale. L’unico modo per tenere conto della situazione delle donne, spesso costrette a ridurre l’orario di lavoro per prendersi cura dei figli, sarebbe stato quello di creare un bonus educativo, come nell’Avs. Ma questa proposta è stata respinta, anche dalle sedicenti femministe dei Verdi Liberali! Rifiutando di introdurre un elemento di solidarietà nel 2° pilastro, la destra vuole preservare i margini degli istituti finanziari, che fanno enormi profitti sulle nostre pensioni, con la “quota parte minima” del 10%, gli utili legali sulla cifra d’affari, e i 7 miliardi per i costi di gestione! La destra sta anche cercando di indebolire le prestazioni del 2° pilastro, in modo che le persone investano in un 3° pilastro, che è ancora più redditizio. 

In questo contesto, non si dovrebbe cambiare radicalmente il regime pensionistico di vecchiaia? In Parlamento è stata presentata una proposta di legge che chiede il trasferimento dei fondi del 2° pilastro a una nuova Avs “basata sulla solidarietà, sulla sicurezza e sul rispetto dell’ambiente”.

Al momento ci sono due progetti sul tavolo: la nostra iniziativa per una tredicesima Avs, che dà diritto mediamente a 1.800 franchi in più all’anno, e la revisione della Lpp, che comporta una riduzione delle pensioni e che costa 2,1 miliardi di franchi. Dove mettere questi soldi? Noi diciamo che è meglio investirli nell’Avs. Non si tratta certamente di una rivoluzione, ma di un riorientamento. Vogliamo rafforzare l’Avs e fermare l’erosione delle pensioni del secondo pilastro. Nell’Avs, il 90% della popolazione riceve più di quanto ha versato. 
Voteremo su questi temi probabilmente nel marzo 2024, quando potrebbero essere sottoposte al giudizio popolare anche l’iniziativa dei giovani Plr per un innalzamento a 66 anni dell’età pensionabile e quella socialista per la limitazione dei premi dell’assicurazione malattie. Sarà una grande domenica di voto! Sarà un “super Sunday” di votazioni federali.
 
Durante la campagna elettorale, i partiti di destra sosterranno che i sindacati stanno esagerando con la questione della riduzione delle pensioni, che soltanto il 15% dei lavoratori ha diritto solo alle prestazioni obbligatorie Lpp e che si sta allarmando la popolazione per nulla…

Se questa riforma riguardasse solo un piccolo numero di persone e se non avrebbe alcun impatto sulla realtà, perché l’avrebbero fatta? L’abbassamento del tasso di conversione dovrebbe fermare l’indebito trasferimento dai lavoratori ai pensionati, che gli stessi partiti borghesi stimano in diversi miliardi. Ciò dimostra chiaramente che questa riduzione del tasso di conversione avrà un effetto massiccio sulle pensioni. Va notato che metà del capitale dei fondi pensione proviene dalla parte obbligatoria della Lpp. Tutti dunque sono interessati da questa riforma. 

Come descrivere l’atteggiamento dell’Unione svizzera degli imprenditori (Usi), che accetta una riforma che non ha nulla a che fare con il compromesso raggiunto con i partner sociali?

È straordinario. L’Usi aveva accettato il compromesso, mentre l’Usam, l’Unione svizzera delle arti mestieri, lo aveva rifiutato. E ora la maggior parte dei membri dell’Usam è contraria alla versione architettata dalla destra, come ad esempio GastroSuisse, i contadini e i piccoli imprenditori che dovranno sopportare il peso dell’aumento dei contributi sociali. Ma rischiano di doversi mettere sull’attenti agli ordini del mondo finanziario. In tal caso, questi padroni non saranno mai credibili quando ci diranno che non possono indicizzare i salari! Si allineano all’argomentazione fornita dal giornale della setta neoliberale: se la revisione della Lpp fallisce, sarà l’Avs a essere rafforzata. E per loro, l’Avs è il diavolo!