È vero che quando si vanno a ripescare nella memoria eventi passati, significa essere per forza anagrafica, attempate. Esattamente come me.  Ma per fortuna la memoria è pur sempre un valore. In occasione del primo sciopero delle donne – 1991 – era stato organizzato dal Sindacato svizzero dei massmedia (SSM) un incontro su donne e comunicazione, a cui aveva preso parte anche la giornalista Lidia Campagnano, allora penna del Manifesto. Mi ricordo benissimo una sua frase lapidaria: le donne presentano, informano; gli uomini commentano, interpretano. Come dire alle donne il ruolo di ancelle della comunicazione, agli uomini il diritto di leggere il mondo secondo i loro occhi. 

L’anno prossimo saranno passati esattamente trent’anni – 30 – e sembra che per molti versi siamo ancora ai piedi della scala. Le rivendicazioni per dare maggiore spazio alle donne – in quantità e qualità – sono ricorrenti. Se il soffitto di cristallo impedisce a molte donne di fare carriera e arrivare in posti strategici, c’è però un avversario molto ostico: il famigerato e a quanto pare molto popolare muro di gomma dell’indifferenza o, peggio, della deliberata volontà di ignorare gli appelli di donne e uomini per una società più paritaria. 

Contro questo muro di gomma ci siamo scontrate in tante e molte volte.  È successo anche al Gruppo Gender-Covid 19, il cui appello per una maggiore presenza femminile sia nella copertura giornalistica, sia nei gruppi di gestione della crisi, è stato ignorato.  Silenzio stampa. I media hanno derubricato l’appello nella categoria della non notizia. Se ne è poi parlato marginalmente in seconda battuta grazie all’Associazione ticinese dei giornalisti e delle giornaliste. Questo atteggiamento conferma quella che ormai non è più un’impressione, bensì una realtà: l’informazione, generalmente, è rimasta indietro rispetto a ciò che succede nel Paese, specialmente per quanto riguarda le istanze della parità. 

L’emergenza sanitaria scatenata dal Coronavirus – che ha purtroppo generato tanta sofferenza attorno a noi – ha messo in evidenza un divario di genere impressionante: le donne sono letteralmente scomparse: come se non esistessero. Eppure sappiamo che non è così. Allora perché? Per scelta? Per pigrizia? Per ignoranza? Per velleità di potere? Sono tutte domande a cui occorrerà dare una risposta.  Partendo però da una certezza: le donne competenti a tutti i livelli ci sono. Eccome. 

Anche nel mondo dell’informazione. Un mondo che nella formazione dell’opinione pubblica ha un peso notevolissimo.  Il punto non è affidare alle donne un ruolo – possibilmente “secondario” – per mettersi la coscienza a posto. Oppure, in base ad una visione paternalistica e patriarcale, attribuire loro un ruolo di “accompagnamento”, mentre l’uomo mantiene la propria centralità. Il punto è mettere le donne al centro, le donne sulla scena, sotto i riflettori, da protagoniste, da editorialiste. Dare spazio alle donne – non gli spazi residui – significa allargare l’universo che abitiamo tutti, uomini e donne. Significa dare conto di una parte della società non solo attraverso gli occhi degli uomini. Significa rappresentare davvero la società nel suo insieme. 

E qui si dovrebbe aprire anche un discorso molto ampio sulla formazione.  Sappiamo benissimo che il mercato delle notizie è fortemente maschile, economicamente e politicamente forte e condizionato all’origine da interessi internazionali o nazionali. E ciò influisce spesso sulle scelte redazionali. Le donne, in questo tipo di offerta, sono soggetti meno visibili. Sarebbe perciò utile ricordare che non esiste una notizia in assoluto: la si può creare solo se ci sono una cultura e un contesto che permettano di renderla tale. In questo mercato la soglia di notiziabilità per quanto riguarda le donne rimane molto alta. Ecco perché la cultura e la formazione sono fondamentali per fare emergere le donne al pari degli uomini. 

L’appello del Gruppo Gender-Covid 19 ha voluto in un certo senso squarciare il silenzio, denunciare una situazione di disuguaglianza che si tende sbrigativamente a ridimensionare dando ancora colpa alle donne: “non vogliono apparire”; “non si fanno avanti”, come se agli uomini si chiedesse di farsi avanti.  Troppo facile. Troppo facile continuare con il muro di gomma, tanto per fare rimbalzare la palla nello stesso campo nella speranza di cogliere tutte e tutti per sfinimento.

Le donne sanno essere tenaci. Devono solo rafforzare la rete. Ho letto da qualche parte che una rete è come un macramè, ha cioè dei nodi, dei punti che non si sbrogliano ma anche dei punti di incontro, capaci di essere propagatori. Ognuna e ognuno di noi si prenda un filo, quello che preferisce. L’intreccio delle idee può solo essere collettivo. Come la risposta alla mancata parità.

Françoise Gehring, giornalista e segretaria sindacale

Apparso sul Corriere del Ticino del 20 maggio 2020

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