Di Francesco Bonsaver, tratto da Area

La testimonianza di un operaio della pavimentazione sul rispetto delle norme nella seconda ondata

«Quando abbiamo ripreso a lavorare dopo il lockdown, ci era stata prescritta una lunga serie di norme sanitarie da rispettare. Ma sono durate poco. Mascherine e disinfettante ci vengono regolarmente forniti, ma il lavoro a bassi ritmi quale logica conseguenza del rispetto delle norme sanitarie, non esiste più da tempo. Anzi, dalla ripresa stiamo facendo molte più ore dello scorso anno, quando il Covid non c’era e già si pedalava un sacco. Non c’è dubbio che nella seconda ondata autunnale, l’economia prevalga sulla salute. Di facciata le regole esistono, ma nella pratica quel che conta è lavorare. Di chiudere non se ne parla più. L’unica cosa da chiudere velocemente è il cantiere per passare a quello successivo, che ancor prima d’iniziarlo è già in ritardo». racconta Claudio*, operaio a contratto indeterminato e attivo da decenni nella pavimentazione ticinese.

Claudio non colpevolizza la ditta per cui lavora. «Sono contento dell’impresa per cui lavoro. È una ditta in ordine e ben organizzata. La responsabilità di quanto sta succedendo non è sua, ma dei committenti». E nella pavimentazione, nella stragrande maggioranza dei casi i committenti sono pubblici. «Dai funzionari comunali, cantonali o dell’Ustra, non c’è nessun rispetto per gli operai. Pretendono solo il rispetto di calendari di lavoro pattuiti prima del Covid, senza considerare che in mezzo c’è stato il blocco delle attività o l’inevitabile rallentamento dovuto all’osservanza delle norme sanitarie. Siamo molto delusi dal trattamento che riceviamo dall’ente pubblico, dove non c’è nessuna comprensione per noi. Umanamente, è triste».

Ritmi folli che non sono una novità, denunciati regolarmente dal sindacato negli ultimi anni. «Contro i committenti pubblici, le aziende hanno pochi margini di manovra. Pur di non perdere il lavoro, accettano tutto. È comprensibile, solo che ad andarci di mezzo sono gli operai. E così noi si fa gli straordinari, sabati e si lavora di notte. Ma non potrà durare all’infinito. Fra trasferte e ore di cantiere, puntualmente allungate dagli straordinari, siamo esauriti fisicamente. Ma anche psicologicamente, non avendo più una vita sociale ed essendo sempre sotto stress per i ritmi imposti. Per fare un lavoro, non ci si può mettere il tempo che ci vuole. Devi aver già finito prima di iniziare. Ed è così tutti i giorni, non è l’eccezione. Sono decenni che faccio questo lavoro e posso garantirle che la corda si sta tirando da troppo tempo e presto rischia di spezzarsi. Siamo delle arance spremute in cui non c’è più succo».

*nome di fantasia, la cui identità è nota alla redazione

Controlli inesistenti e scarsi i tracciamenti  
Sono i punti salienti del sondaggio condotto da Unia Ticino tra l’11 e il 17 novembre in 132 cantieri relativo alle cinque principali misure di prevenzione della salute degli edili.

In tre quarti dei cantieri il disinfettante è presente, quasi sempre solo nelle baracche (69%), dunque poco accessibile ad altri soggetti quali artigiani o fornitori. Sul fronte delle mascherine, si registra un 15% delle imprese che si rifiuta di mettere a disposizione del dipendente il basilare strumento di protezione.

Ancor più problematico il tracciamento delle persone (un registro dei dati personali tipo quello in vigore nei bar e ristoranti), in particolare nei grandi cantieri dove il flusso di persone è elevato tra fornitori, artigiani, subappaltanti o tecnici. «La situazione da questo punto di vista è pessima. Solo nel 22,73% dei cantieri visitati, ossia in 30 su 132, è stato introdotto un sistema di tracciamento. E solo in 6 cantieri è stato tenuto in vigore, seriamente, per almeno 4 mesi» annota il sindacato.

Drammatica la situazione dei controlli del rispetto delle norme sanitarie. In tutti i cantieri gli operai hanno confermato la totale latitanza degli organi di controllo, gli ispettori della Suva. Operai costretti a scegliere tra salute e reddito in assenza di verifiche esterne, interamente delegate ai datori di lavoro.

Amara la conclusione del sindacato: «La questione è sapere se la salute pubblica è un bene fondamentale che deve prevalere sugli interessi economici: quesito che dovrebbe far riflettere la sezione ticinese della Società Svizzera degli Impresari Costruttori che dopo la fine del lockdown si è preoccupata di chiedere deroghe al Contratto collettivo cantonale dell’edilizia, di pretendere aiuti dallo Stato e di minacciare, davanti al rifiuto dei sindacati di usare la pandemia per attaccare i disposti contrattuali, di non rinnovare il Ccl cantonale perché non abbastanza foriero di flessibilità».