Di Giovanni Valerio, tratto da syndicom rivista

Il 29 novembre voteremo sull’iniziativa Multinazionali responsabili, che chiede che le imprese con sede in Svizzera rispettino i diritti umani e l’ambiente nei paesi in cui operano, in tutto il mondo. L’ex consigliere agli Stati Dick Marty spiega perché il tema è ora più importante che mai, in tempo di crisi da pandemia.

Cosa chiede l’iniziativa?

L’iniziativa Multinazionali responsabili – spiega il suo co-presidente Dick Marty – chiede una cosa semplice ma fondamentale: la messa in atto di un principio essenziale in qualsiasi società civilizzata e cioè che ognuno risponda delle proprie azioni. Anche le multinazionali, che spesso agiscono in paesi fragilissimi dove lo Stato è inesistente e/o corrotto. Qui sta uno dei paradossi dell’economia globalizzata odierna: i paesi più ricchi di sostanze preziose sono spesso poverissimi, devastati dalla violenza e governati da autocrati. Ad esempio, il Congo è virtualmente uno dei paesi più floridi del mondo tante sono le ricchezze del suo sottosuolo (come il coltan e il cobalto, sostanze senza le quali nessun computer o telefonino potrebbe funzionare); eppure, la gente vive nella miseria e nella violenza. Questo è un problema causato dalla distrofia dello sviluppo: l’economia non conosce più confini, è mondializzata, mentre il diritto è rimasto rinchiuso entro i confini nazionali. Le multinazionali hanno ormai assunto un potere enorme che sovrasta quello della maggior parte degli Stati. Nel nostro paese, ogni anno il tabacco uccide 9.500 persone, altro che Covid! Eppure, tutti i tentativi di bloccarne la pubblicità (non la vendita!) sono stati respinti dal parlamento su pressione della Philip Morris. Immaginiamoci l’influsso e il potere che tali società sono in grado di esercitare in altri paesi, in Africa o America Latina!

Su cosa andremo quindi a votare?

Ci siamo riallacciati a una raccomandazione ONU e del Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa (di cui è pure membro la Svizzera) del 2016 che invita gli Stati a legiferare per stabilire il principio di responsabilità delle multinazionali con sede nel proprio paese e operanti in paesi fragili quando ci sono violazioni dei diritti dell’uomo e degli standard internazionali in materia di protezione dell’ambiente. Purtroppo, gli esempi sono numerosi. Glencore ha avvelenato fiumi togliendo sostentamento a migliaia di persone che vivevano di pesca. Syngenta esporta pesticidi cancerogeni, peraltro proibiti in Svizzera ed Europa, raffinerie svizzere si riforniscono di oro da miniere in cui lavorano bambini… Possiamo veramente chiudere gli occhi dinanzi a tali realtà in cui, tra l’altro, è in gioco anche la nomea del nostro paese?

Glencore non è mai stata ritenuta responsabile della contaminazione da piombo delle sue miniere in Perù. In futuro sarà più facile dimostrarlo?

Non significa che dei procuratori svizzeri andranno sul luogo a fare inchieste. Non siamo nel campo penale, ma civile, ovvero nell’ambito della riparazione del danno indebitamente subito. Si applicano, cioè, le norme della responsabilità civile del diritto svizzero. Proprio come chi va a spasso con il cane deve tenerlo al guinzaglio o eventualmente mettere la museruola se sappiamo che può essere pericoloso. Se qualcuno viene morsicato, la vittima ha la possibilità di rivolgersi al tribunale per il risarcimento del danno subito. Ed è quello che chiediamo con l’iniziativa. La vittima di una violazione dei suoi diritti fondamentali o delle norme riconosciute internazionalmente in materia di protezione dell’ambiente (e solo per queste!) da parte di un’azienda con sede in Svizzera, ha la facoltà di rivolgersi a un tribunale svizzero per chiedere il risarcimento del danno patito. Questo presuppone che sarà la vittima a dover documentare il danno subito, con filmati, testimonianze e perizie, e a provare che l’azienda è stata negligente e non ha preso i provvedimenti ragionevolmente esigibili relativi al suo tipo di attività. E, infine, è necessario che sia stabilito un nesso di causalità tra danno e negligenza. Si tratta di un’azione difficile e costosa (per ottenere le prove e pagare le spese processuali, che vanno sempre anticipate). Non ci sarà, come dicono gli avversari, una pioggia di denunce perché solo alcuni casi clamorosi potranno essere portati avanti, con l’aiuto di ONG. Questa misura avrà tuttavia soprattutto un effetto di prevenzione sulle aziende, che sceglieranno di prendere precauzioni piuttosto che pagare risarcimenti.

Qualcuno dice che con tutti i problemi legati alla crisi del Covid, non è il caso di occuparsi di queste cose: come risponde?

Anzi, è il periodo buono. Il Covid mette drammaticamente in luce le ingiustizie, anche all’interno del nostro Paese e sono i più deboli a essere maggiormente colpiti; a livello internazionale è la stessa cosa. Questi squilibri non fanno che alimentare sfiducia nelle istituzioni, crisi e vio- lenza nonché un’accelerazione della migrazione. Per la prima volta, il mondo intero è confrontato allo stesso pericolo nel medesimo momento. Dimostra in modo evidente che viviamo davvero in un mondo dove un battito di farfalla può causare effetti a migliaia di chilometri. Mi piace ricordare una frase di Martin Luther King: “Un’ingiustizia in qualsiasi parte del mondo è una minaccia per tutti noi”. Se ci sarà più giustizia, nei paesi poveri (ma ricchi di materie prime) la migrazione verrà ridimensionata (nessuno abbandona a cuor leggero il proprio paese, i Ticinesi dovrebbero saperlo se pensano ai loro avi), vi sarà più pace e benessere. E ciò è anche a beneficio dell’economia e dei lavoratori.

Lavoratori e natura di paesi lontani, questioni apparentemente distanti da noi, dalla Svizzera: perché chiedere un cambio delle nostre leggi?

Innanzitutto, la Svizzera ha la più alta concentrazione al mondo di sedi di multinazionali rispetto alla popolazione. E poi il nostro paese ha valori etici espressi nella costituzione che devono essere attuati. Ciò che capita in Congo ci interessa direttamente, non è semplice altruismo, facciamo i nostri interessi. La vicenda mi ricorda perfettamente quanto accaduto negli Anni 70. In quel periodo, entravano quotidianamente nelle banche elvetiche miliardi di lire, milioni di franchi francesi e di marchi. C’erano vere e proprie industrie di trasferimento di denaro. Un gruppo di giovani procuratori pubblici, di cui facevo parte, pose l’attenzione sul fatto che i soldi entrati in questo modo possono pure contrabbandare una certa cultura del malaffare. Non erano, infatti, tutti risparmi di onesti cittadini ma pure di attività criminali. Eravamo del parere che fosse urgente dotarsi di norme che permettessero di identificare l’origine di tali enormi quantità di denaro anonimo. Fummo tacciati di nemici della piazza finanziaria. 25 anni dopo il Parlamento votò all’unanimità la legge contro il riciclaggio; quanti scandali, che tanto male fecero alla Svizzera, avrebbero potuto essere evitati! Allora come oggi, Consiglio federale e maggioranza del Parlamento ritengono che spetti alle aziende regolarsi fra loro. Allora, fu elaborata una convenzione di diligenza tra le banche ma non ha funzionato e c’è voluta finalmente una legge sul riciclaggio. Nonostante questa esperienza disastrosa, Consiglio federale e Parlamento propongono oggi ancora l’autoregolamentazione per le multinazionali. Assurdo! Certo, la maggioranza delle imprese si comporta correttamente. Sono le altre, la minoranza, quelle che mirano esclusivamente alla massimizzazione del profitto, che sono il problema. Arrecano un grave danno all’immagine della Svizzera e della sua piazza economica (oltre a procurarsi un vantaggio concorrenziale rispetto a chi si comporta bene).

Non c’è il rischio che le multinazionali lascino la Svizzera con perdita di posti di lavoro?

Scommetto che in caso di accettazione dell’iniziativa nessuna multinazionale lascerà la Svizzera come nessuna multinazionale ha lasciato la Francia, dove c’è una legge in vigore dal 2019, limitata alle aziende con più di 5mila dipendenti, anche con strumenti penali più efficaci dei nostri. Ad esempio, Lafarge Holcim aveva un cementificio in Siria nella zona del Califfato che ha continuato a lavorare pagando mazzette ai jihadisti e per questo è ora perseguita per il reato di finanziamento del terrorismo. Per le multinazionali, ci sono aspetti ben più importanti: oltre a quello fiscale, penso alla logistica che funziona, alla qualità di vita, alla certezza del diritto, alla presenza di scuole di alto livello… Indurrà piuttosto le aziende a chiedersi quali sono i pericoli legati alla loro attività. Faccio tutto il necessario perché nelle mie miniere non lavorino bambini? Ci sono filtri per non inquinare i fiumi? E si renderanno conto, come molti hanno già fatto, che il rispetto dei diritti dell’Uomo e dell’ambiente possono anche essere importanti fattori di marketing e di riconoscenza da parte del mercato.