Nel 2017 la Posta Svizzera SA ha licenziato una giovane donna e madre. Il licenziamento è stato abusivo, come confermato dai tribunali ticinesi (in prima e seconda istanza). Nonostante le clausole in tal senso contenute nel contratto collettivo di lavoro della Posta, il datore di lavoro non è tenuto a reintegrare la donna. Questo esempio del Canton Ticino conferma la debolezza della tutela contro il licenziamento in Svizzera. Le lacune sono enormi, tanto che la Svizzera è persino sulla lista nera dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) per questo motivo. È vergognoso! Ed è ancora più vergognoso quando il datore di lavoro è un’azienda della Confederazione come la Posta. Il Consiglio federale deve perciò agire: lo esigono syndicom e USS, che avanzano richieste concrete alla politica e ai datori di lavoro.

Riproduciamo qui sotto la dichiarazione della postina letta in conferenza stampa.

“Questa lunga battaglia finalmente si è conclusa con una sentenza a mio favore che lascia però l’amaro in bocca. Una battaglia iniziata nel 2016, quando ho chiesto al mio responsabile di organizzare i giri di recapito per poter terminare il lavoro alle 12:30 e andare a prendere la mia bambina all’asilo nido.

Lavorando al 60% e iniziando alle 07:00 del mattino potevo tranquillamente svolgere le ore previste dal contratto, quindi conciliare al meglio i miei impegni privati con quelli aziendali. A livello organizzativo non vi erano problemi in quanto nel recapito lettere non vi sono orari fissi, la Posta poteva facilmente venire incontro alle mie richieste. Ma alla Posta non andava bene perché voleva il massimo della flessibilità.

Ho continuato a insistere perché ritenevo questo punto importante non solo per me, ma per tutte le donne. A quel tempo ero inoltre entrata a far parte della Commissione del personale dei postini di Lugano. Purtroppo, la Posta su questo punto non ha mai voluto trovare alcun tipo di accordo. Questo conflitto mi ha generato problemi di salute. Per poter rientrare a lavorare ho deciso di aumentare la presenza della bambina all’asilo nido. A causa di questa mia decisione, in base a quanto riferisce la sentenza, ho rinunciato per atti concludenti a proseguire con il reclamo per presunta discriminazione di genere. Nonostante la mia decisione di offrire nuovamente la massima flessibilità, la Posta non è stata in grado di propormi un posto di lavoro accettabile e alla fine di un lungo percorso doloroso sono stata licenziata. La Posta non ha potuto dimostrare che vi fosse una ragione obiettiva e per questo motivo ho vinto la causa.

Dopo che è arrivata la sentenza, ho provato attraverso il sindacato a essere riassunta in Posta. Purtroppo, l’azienda, nonostante mi abbia licenziato in maniera abusiva, ha deciso di non riassumermi. Penso che chiunque porti avanti una lotta per i propri diritti non possa accettare che si venga licenziati ingiustamente senza poi, una volta riconosciuta l’ingiustizia, avere il diritto di tornare sul posto di lavoro.

Questa battaglia l’ho portata fino in fondo perché spero possa servire da monito per le aziende che con troppa facilità licenziano le persone che si battono per i propri diritti, ma anche per evidenziare le mancanze di tutela legali che oggi esistono in Svizzera”.

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