Di Veronica Galster, tratto da Area
A fine aprile il Consiglio federale ha annunciato con orgoglio l’adozione di una Strategia nazionale per la parità di genere, una dichiarazione d’intenti troppo blanda che rischia di rimanere una vaga promessa. Ne abbiamo discusso con la segretaria centrale dell’Unione Sindacale Svizzera, Regula Bühlmann.
Udite, udite: il Consiglio federale adotta una strategia nazionale per la parità tra donne e uomini. Nel comunicato stampa che lo annuncia (del 28 aprile) scrive con orgoglio che si tratta della prima strategia nazionale che mira a promuovere la parità dei sessi in tutti i suoi aspetti, focalizzandosi su quattro temi: promozione della parità nella vita professionale, miglioramento della conciliabilità tra famiglia e lavoro, prevenzione della violenza e lotta alla discriminazione. L’obiettivo, si legge ancora, è “che donne e uomini partecipino con le stesse opportunità alla vita economica, familiare e sociale, fruiscano per tutta la vita della stessa sicurezza sociale e possano realizzare le proprie aspirazioni in un ambiente improntato al rispetto e privo di discriminazioni e violenza”. Il tutto da raggiungere entro il 2030, con dei provvedimenti più urgenti da concretizzare entro il 2023. Alla fine del 2025 è previsto il primo bilancio.
Fin qui tutto molto bello e tutti molto fieri, ma c’è un ma. C’è sempre un ma quando le cose sono così belle e sembra così facile raggiungerle, anche se in un paese dove da soli 50 anni le donne hanno il diritto di voto, dove la parità salariale sta regredendo invece di migliorare, dove al momento del pensionamento le rendite delle donne sono ancora più basse di quelle degli uomini, dove la pandemia ha pesato soprattutto sulle spalle delle donne che spesso svolgono lavori precari e con salari bassi, dove mettere al mondo un figlio può ancora essere motivo di licenziamento, ma in ogni caso se puoi continuare a lavorare come madre devi fare i salti mortali e la legge prevede 14 misere settimane di congedo maternità.
Siamo quindi andati a leggere la dichiarazione d’intenti tanto declamata e ne abbiamo discusso con Regula Bühlmann, segretaria centrale dell’Unione Sindacale Svizzera (Uss): «Si tratta di un documento vago e poco coraggioso in generale, ma l’affronto più grosso da parte del Consiglio federale è stato osare inserire in una strategia per la parità tra uomini e donne l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne, questo è veramente troppo! Sappiamo qual è la posizione del Consiglio federale in merito all’età di pensionamento, ma non c’era assolutamente bisogno di metterla come strategia per la parità, è fuori luogo», commenta la sindacalista, che si sarebbe piuttosto aspettata un aumento delle rendite Avs per le donne in un’ottica di maggiore parità di genere.
Inoltre, il Consiglio federale concentra le sue misure sulle donne svizzere della classe media, senza tenere in considerazione la situazione né delle donne con un passato migratorio, né di coloro che sono occupate in professioni con salari bassi, né di quelle che non si riconoscono in una rappresentazione binaria maschio/femmina. «Non sono ad esempio prese in considerazione misure che vadano nella direzione di salari minimi nei lavori che hanno salari bassi né migliori condizioni di lavoro, che sarebbero invece necessari per una reale parità salariale. Sicuramente anche dei controlli come prevede il Consiglio federale sono utili, ma non bastano». Il lavoro precario e i bassi salari sono infatti una realtà che colpisce in particolare le lavoratrici e molte di quelle professioni che si sono rivelate indispensabili durante questa pandemia, un occhio di riguardo sarebbe perciò stato particolarmente auspicabile nella stesura di una Strategia per la parità in questo contesto, mentre invece ci si è limitati ad elencare obiettivi e misure che per la maggior parte sono già in fase di realizzazione.
«È positivo che il Consiglio federale attui delle misure, ma non basta. Avendo posto il 2030 come termine per il raggiungimento degli obiettivi avrebbe potuto essere più coraggioso, sia negli obiettivi stessi che nelle misure per raggiungerli», prosegue Bühlmann, contrariata anche dagli obiettivi volti semplicemente a ridurre problemi gravi come la povertà delle famiglie monoparentali o la violenza domestica: «Bisognerebbe invece lottare contro la povertà delle donne, lottare contro la violenza domestica, avendo l’obiettivo di azzerarle. Chiaramente si è coscienti che difficilmente si arriverà ad annullare questi fenomeni, ma bisogna almeno provarci, poi man mano si vede cosa fare per diminuire, ma non si può partire già con un obiettivo monco che si accontenta di ridurre dei fenomeni così gravi e intollerabili». A suo modo di vedere occorre poi una politica familiare coerente a livello nazionale, che sgravi le lavoratrici e i lavoratori con obblighi familiari, mettendo loro a disposizione delle strutture d’accoglienza extrafamiliare che siano accessibili a tutti e di qualità.
Nella stessa ottica di mancanza di coraggio, contro il sessismo e le molestie sessuali sul lavoro, secondo la sindacalista la Svizzera dovrebbe ratificare la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) n.190 senza porsi altre domande: «Mi ha scioccata il fatto che nella strategia si preveda solo l’esame dell’eventuale ratifica di questa Convenzione: va ratificata, abbiamo analizzato abbastanza, ora bisogna agire. Perché non scriverlo in una strategia?», conclude Bühlmann, secondo la quale con questa mancanza di coraggio il Consiglio federale ha perso un’occasione per fare qualcosa di realmente utile verso la parità di genere e difficilmente, con questo atteggiamento timoroso, raggiungerà l’obiettivo dichiarato.