Di Claudio Carrer, tratto da Area
La pandemia ha reso ancora più evidenti le lacune in materia di protezione dei dipendenti nelle aziende. La Svizzera non rispetta le direttive Oil.
Piani di protezione insufficienti, autorità federali e cantonali troppo passive e gravi lacune nell’ambito dei controlli sui luoghi di lavoro per quanto attiene al rispetto delle misure di tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori. È in queste condizioni che la Svizzera sta gestendo la seconda violenta ondata della pandemia di coronavirus. Di qui il moltiplicarsi degli appelli delle organizzazioni sindacali affinché vengano adottati provvedimenti a vari livelli per ridurre il rischio di contagio in ambito professionale.
A partire da un rafforzamento degli ispettorati cantonali del lavoro, che risultano gravemente sottodotati di mezzi finanziari e di personale e dunque non in grado di garantire gli standard minimi previsti dal diritto nazionale e internazionale, come conferma una perizia giuridica realizzata dall’Uss in collaborazione con l’Università di Basilea. area ne ha parlato con Luca Cirigliano, Segretario centrale Uss e coautore dello studio.
La Legge sul lavoro e la Convenzione numero 81 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) – sottoscritta dalla Svizzera – prescrivono che lo Stato svolga dei controlli “effettivi” nell’ambito della protezione della salute. Controlli che spettano soprattutto agli Ispettorati cantonali del lavoro, competenti per circa 2,6 milioni di impiegati (altri 1,4 sono sotto la Suva), e che presuppongono tra l’altro un numero di ispettori sufficiente a “garantire un’attuazione efficace dei compiti di vigilanza”, si legge nella Convenzione dell’Oil. Come indicatore è stato stabilito il rapporto di un ispettore ogni 10.000 lavoratori, che in Svizzera viene rispettato solo dal Canton Neuchâtel. Tutti gli altri sono fuori norma e solo quattro (Basilea Città, Ginevra, Giura e il piccolo Obvaldo) si avvicinano allo standard Oil. Il Ticino, con un ispettore ogni 22.000 lavoratori, è nella media svizzera (uno ogni 22.900). Ancora peggio sono messi per esempio Zurigo (uno ogni 29.800), Argovia (uno ogni 35.000), Sciaffusa (uno ogni 44.300) e Turgovia (uno ogni 58.000).
Con la crisi del coronavirus la sottodotazione di personale degli ispettorati si è resa ancora più evidente. Tanto che – si legge nella perizia giuridica – la Suva nell’ambito della legislazione speciale sul Covid è stata designata dal Consiglio federale quale organo di controllo per le misure di prevenzione sui cantieri e nell’industria, che secondo l’ordinamento giuridico toccherebbe agli Ispettorati. «Alla luce della situazione straordinaria questo trasferimento di competenze può anche essere stato doveroso e giusto, ma ragionevolmente può essere spiegato solo col fatto che gli ispettorati cantonali non dispongono del personale necessario ad assolvere i loro compiti», scrivono gli autori dello studio (clicca qui per leggerlo – in tedesco) Lukas Schaub e Luca Cirigliano. Di qui la necessità che i Cantoni «provvedano urgentemente a mettere a disposizione i mezzi necessari» per colmare le lacune. E anche la Segreteria di Stato dell’economia (Seco), come alta autorità di vigilanza sugli ispettorati cantonali, deve fare uso della sua competenza, concessa dalla legge da quasi vent’anni ma di cui non ha mai fatto uso, di “emanare direttive circa il numero delle persone preposte alla vigilanza da impiegare per ogni Cantone in funzione del numero delle aziende, dei compiti legali da adempiere e della loro complessità”. Se i Cantoni non si muovono, lo faccia Berna ricorrendo al suo potere, affermano in sostanza gli autori dello studio, suggerendo anche una soluzione per aumentare a lungo termine le risorse finanziarie a disposizione: l’introduzione nell’ambito della legge sull’assicurazione invalidità di un premio supplementare a carico dei datori di lavoro per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, equivalente a quello previsto dalla Lainf, la legge sull’assicurazione contro gli infortuni.
Non solo Covid
Il rafforzamento degli ispettorati del lavoro, tengono infine a sottolineare Schaub e Cirigliano, è «particolarmente urgente non solo nell’ottica di questa seconda o di un’eventuale terza ondata della pandemia, ma anche perché per esempio i rischi per la salute psichica, per la cui prevenzione sono responsabili gli ispettorati, negli ultimi anni sono aumentati sensibilmente. Secondo recenti statistiche delle compagnie assicurative le assenze dal posto di lavoro per cause psichiatriche (soprattutto depressione e burnout) sono cresciute del 70 per cento dal 2012 a oggi». Con tutto ciò che questo comporta anche dal punto di vista finanziario, tenuto conto che queste patologie producono un’incapacità lavorativa di durata doppia rispetto ad altre e spesso portano al licenziamento e riducono le chance di un reinserimento professionale. «Più ispettrici e più ispettori del lavoro – conclude dunque lo studio – non soddisferebbero soltanto le prescrizioni del diritto internazionale, ma potrebbero alleviare la sofferenza individuale di lavoratrici e lavoratori e dare così un contributo a un’economia più sana».
L’intervista. Cirigliano: «Mancano informazioni chiare delle autorità»
Pochi controlli dei cosiddetti piani di protezione contro il coronavirus da parte dei Cantoni e tante mancanze per quanto riguarda la loro attuazione. A fotografare questa situazione non sono solo i sindacati che operano sul terreno ma anche i dati di monitoraggio pubblicati a intervalli regolari dall’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), che danno conto del numero delle ispezioni settimanali e delle mancanze riscontrate in particolare negli esercizi e nelle strutture accessibili al pubblico e in aziende che lavorano con derrate alimentari. Come si evince dai grafici allegati sulla frequenza dei controlli(che si riferiscono al periodo luglio-ottobre), almeno ogni quattro controlli di un piano di protezione si riscontra una mancanza. Le curve verdi mostrano inoltre come gli ispettorati cantonali non abbiano dato seguito alle richieste di Berna di moltiplicare gli sforzi di vigilanza. Anzi, nel corso del mese di settembre si nota addirittura un vistoso calo del numero di controlli rispetto ai mesi precedenti e ancora a fine ottobre, nel pieno della seconda ondata di contagi, si è controllato meno che a fine luglio quando la situazione era nettamente migliore.
«Questo dimostra che la Svizzera non sta facendo il suo dovere nella protezione dal Covid sui luoghi di lavoro, un rischio nuovo che imporrebbe la ricerca di soluzioni nuove», commenta Luca Cirigliano, Segretario centrale dell’Uss, ribadendo la problematica della carenza di personale degli ispettorati ma anche puntando il dito contro la Seco, rea di «non aver mai fatto nulla per indurre i Cantoni a rispettare le direttive dell’Oil». «Siamo nella situazione paradossale che con la Legge Covid – aggiunge il sindacalista – la Confederazione finanzia completamente i controlli dei Cantoni, ma questi non fanno uso se non in minima parte di questa possibilità».
Quello dei controlli è l’unico problema?
Sono un aspetto fondamentale, perché si possono avere le migliori misure di protezione ma se non vengono applicate e fatte applicare non servono a nulla. Ma ci sono anche altri deficit. Già il fatto che non tutte le ditte debbano avere un piano di protezione (necessario solo per i luoghi di lavoro considerati accessibili al pubblico) è un problema fondamentale.Trovo piuttosto preoccupante che il legislatore non ci abbia pensato a creare un obbligo. Da parte delle autorità manca poi oggettivamente un accompagnamento adeguato di datori di lavoro e lavoratori nella messa in atto dei concetti di protezione e delle direttive dell’Ufficio federale della sanità e della Seco per proteggersi dal virus, le quali spesso sono complicate da capire e cambiano abbastanza rapidamente. Laddove manca un piano di protezione elaborato dalle associazioni di categoria (dove possibile con la collaborazione dei sindacati), il problema è maggiore. Anche perché né Seco né autorità cantonali danno informazioni chiare.
In che senso?
Tutto quello che hanno fatto è un documento di spiegazione dell’articolo della legge sul lavoro che sancisce l’obbligo per il datore di tutelare la salute dei propri dipendenti da cui deriva anche l’adozione di misure contro il coronavirus, un testo per esperti e incomprensibile ai più sulla ventilazione dei locali di lavoro e un piccolo vademecum per i cantieri. Questo non basta. Una persona che non capisce nulla di virus ed epidemiologia non trova risposte nei documenti delle autorità. E questo problema trova riscontro nella pratica: le misure anti-Covid vengono messe in pratica male e la gente non le capisce. Certamente, un sistema efficace di controlli aiuterebbe molto anche a dare consigli pratici su come comportarsi, ma questi purtroppo mancano.