Giangiorgio Gargantini di Unia Ticino spiega il No del sindacato all’iniziativa dell’Udc sulla libera circolazione del 27 settembre
Fine della libera circolazione e delle misure di accompagnamento, accordi bilaterali stracciati e ripristino dei contingenti per l’impiego della manodopera estera. È quanto accadrebbe se il 27 settembre dalle urne uscisse un sì all’iniziativa “Per una immigrazione moderata” promossa dall’Unione democratica di centro (Udc). Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia, quali sarebbero le conseguenze per i lavoratori in Svizzera?
Indubbiamente un passo indietro dei diritti di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, svizzeri, residenti o stranieri. Chiariamo un punto: non vuol dire che oggi i diritti dei salariati siano sufficienti, ma sarebbe un ulteriore passo indietro. Faccio un esempio pratico. Con l’introduzione della libera circolazione, fu abolito lo statuto di stagionale. La sua abolizione fu un indubbio passo avanti, perché allo stagionale erano negati molti diritti poiché il suo permesso di lavoro era legato a doppio filo al volere padronale. Non va però dimenticato che i permessi precari non sono scomparsi, ma continuano a esistere ad esempio nella forma del permesso L, che sotto diversi aspetti ha poco da invidiare al precedente. In sintesi, salvare i Bilaterali non significa migliorare le condizioni dei lavoratori, ma evitare di peggiorarle ulteriormente.
Il mondo del lavoro ticinese ha però subito un peggioramento nelle condizioni di lavoro e di retribuzione da quando esistono i Bilaterali. Non sono dunque pochi i lavoratori sedotti dall’idea di cancellarli.
È comprensibile la voglia di tornare al passato, ma bisogna essere consapevoli che la responsabilità della particolare situazione ticinese va cercata nella parte padronale che ha vergognosamente sfruttato la situazione venutasi a creare con gli accordi bilaterali. Il degrado nel mondo del lavoro cantonale è frutto di comportamenti di una parte del padronato locale, non dell’esistenza dei Bilaterali in quanto tali. Lo si deduce allargando lo sguardo al contesto nazionale. Stando agli ultimi dati della Seco, la differenza salariale tra un lavoratore residente e uno frontaliere ammonta al 30% in Ticino. In Romandia invece la differenza è dell’11%, mentre nella Svizzera tedesca scende all’1%, in favore dei lavoratori frontalieri! L’automatismo libera circolazione e dumping salariale non è naturale, ma dipende molto dalle scelte politiche ed economiche regionali. I Bilaterali hanno avuto la funzione di acceleratore straordinario delle diseguaglianze già presenti in Ticino. Un ruolo determinante lo ha pure avuto la grave crisi economica che attanaglia il Nord Italia da oltre dieci anni. Ma, ripeto, fondamentale è stato l’atteggiamento padronale nel degrado del mondo del lavoro. Sempre più imprenditori ragionano nell’arco temporale di previsioni semestrali, di guadagno immediato, senza nessuna visione a medio e lungo termine. La visione a cortissimo termine li porta ad approfittare delle differenti necessità economiche di una famiglia residente e di una oltre confine, spingendo al ribasso i livelli salariali. La soglia del dolore inferiore, in termini di bassi salari, dei lavoratori frontalieri rispetto ai residenti è stata usata ad arte dal padronato per fare pressione sugli stipendi in maniera generalizzata.
Dalle sue parole emerge un giudizio impietoso della classe imprenditoriale ticinese.
Assolutamente sì, ma vorrei precisare che mi riferisco a una parte degli impresari, non all’intera categoria, perché è sempre sbagliato generalizzare. Al contempo osservo come questa parte sia in crescita e stia provocando dei danni che sconteremo nel lungo termine, dove ci ritroveremo con un tessuto economico ticinese ulteriormente impoverito. Così facendo, stiamo seriamente ipotecando il futuro della Regione.
Il differenziale del potere di acquisto consente a dei lavoratori frontalieri di accettare una retribuzione inferiore alla soglia di dolore di un residente.
Come coniugare la difesa della dignità di un lavoro giustamente retribuito con la messa in concorrenza sleale tra i lavoratori?
È uno dei compiti più difficili attuali per il sindacato in Ticino: mantenere l’unità e la solidarietà dei lavoratori nel contesto di brutale messa in concorrenza. Quando parliamo di concorrenza sleale ci riferiamo in primo luogo a quella subita dai lavoratori, ma di cui pagano le conseguenze anche le imprese corrette nei confronti dei loro collaboratori. Penso ad esempio ai lavoratori qualificati, il cui valore economico delle competenze spesso non viene riconosciuto da certe aziende che fanno capo a lavoratori frontalieri con esperienza che accettano di essere retribuiti meno. Il sindacato lotta per impedire questo, difendendo la giusta retribuzione che consenta di vivere dignitosamente nel territorio e al contempo cercando di sviluppare la solidarietà e l’unità tra i lavoratori. È difficile, ma è l’unica via per uscirne tutte e tutti vincenti. Se vincerà chi alimenta la divisione tra i lavoratori enfatizzando strumentalmente il differenziale senza alcuna voglia di risolverlo, i lavoratori ne usciranno perdenti. “Dividi e impera” è sempre stata una regola ferrea dei dominanti, fin dai tempi dei Romani.
Ipotizziamo che la libera circolazione sarà benedetta dalle urne. I problemi in Ticino non scompariranno. Come si potrà migliorare?
Aumentando i livelli del salario minimo cantonale e dei contratti normali di lavoro, potenziando i controlli e integrando la partecipazione dei lavoratori nella verifica del rispetto delle norme sui posti di lavoro. In altre parole, rinforzando le misure di accompagnamento. Un maggiore margine di operatività potrebbe arrivare dall’adozione dello statuto speciale chiesto dal Canton Ticino alle camere federali.
Ora l’Udc ha un nuovo presidente nazionale, il ticinese Marco Chiesa. Cosa ne pensa?
Per anni l’Udc ha speculato sul sostegno popolare nel far saltare i Bilaterali, senza però mai metterli sul piatto. Ora finalmente si voterà e se la finta alternativa sparirà, le discussioni future si svilupperanno in modo molto diverso. Il confronto si sposterà tra chi vuole concretamente migliorare la situazione dei cittadini salariati e chi invece no. Le maschere cadranno e ognuno dovrà prendersi le sue responsabilità. Negli ultimi anni, l’Udc ticinese ha tenuto un piede in due scarpe: difendere gli interessi padronali vendendola come pseudodifesa degli interessi dei lavoratori. Ora Chiesa, nel suo nuovo ruolo nazionale, dovrà tenere un discorso diverso. Molti scrivono che il Ticino sarà meglio rappresentato a Berna. La stessa cosa fu detta quando Cassis entrò in Consiglio federale. A posteriori si può dire che non sia andata così. Temo che dall’elezione di Chiesa, sortirà il medesimo effetto. Non sarà il Ticino con le sue specificità ad essere maggiormente presente a Berna, ma sarà il volere di Berna ad esser più presente nel cantone.
di Francesco Bonsaver, tratto da Area