Pubblichiamo il testo letto dal Gruppo Donne USS-TI in occasione del 14 giugno 2021

  1. Le donne sono discriminate a livello salariale.

Nonostante sia sancita dalla Costituzione federale dal 1981, la parità tra donna e uomo non è ancora raggiunta: le donne guadagnano mediamente il 19 per cento meno rispetto agli uomini, pari a Fr. 1’512 al mese. Il 45,4% di questo divario retributivo non è dovuto né all’età, né al livello di formazione o anzianità, né alla posizione o al settore occupato: è pura discriminazione.

2. Le donne pagano il prezzo della pandemia

A fine 2020 in Ticino il Covid-19 aveva inghiottito 3’000 posti di lavoro del terziario occupati da donne e solo un centinaio occupati da uomini. Lo dicono le statistiche sull’impiego in Ticino nel 2020. Se si allunga l’orizzonte oltre il 2020 e si prende anche il quarto trimestre 2019 i posti diventano quasi 5’000!

3. Le donne sono penalizzate nel mercato del lavoro

Le donne sono penalizzate a tutte le età. Proprio loro che, in maggioranza, si sono prese cura dei malati negli ospedali, nelle case anziani e negli istituti sociali, adattandosi a ritmi pressanti e a uno stress psicologico fortissimo; loro che, in maggioranza, hanno tenuto aperti i negozi per consentire l’approvvigionamento dei beni essenziali.

4. Le donne sempre confrontate con tempi parziali

In Svizzera il lavoro a tempo parziale è una caratteristica dell’impiego femminile. Il modello “uomo a tempo pieno – donna a tempo parziale” ha sostituito il modello tradizionale “uomo sostegno della famiglia – donna casalinga”. Le donne sono oggi sempre più qualificate e sono la maggioranza negli studi universitari. Il tasso di attività delle donne aumenta, ma esse continuano a lavorare per lo più a tempo parziale. Il tempo parziale è una scelta imposta e tra le donne aumenta la sottoccupazione e il rischio povertà. 

5. Le donne tracciate dal sistema previdenziale

Il sistema di previdenza per la vecchiaia svizzero ha un’ottima memoria e non dimentica nulla. Si ricorda quindi benissimo di chi lavora a tempo parziale. Chi, come molte donne, lavora per lungo tempo a una percentuale inferiore al 50% rischia, dopo il pensionamento, di dover vivere con il minimo vitale o in una condizione di forte dipendenza finanziaria. 

6. Le donne devono accontentarsi di pensioni misere

Nel complesso le donne ricevono una pensione del 37% rispetto a quella degli uomini. La disuguaglianza proviene principalmente dal 2° pilastro, dove il divario di genere è del 63%. Gli stipendi più bassi, la prevalenza del lavoro part-time per le donne, i percorsi di carriera più frammentati, il “soffitto di vetro”, le condizioni difficili di molti lavori femminili, la distribuzione ineguale dei compiti domestici: sono tutte disuguaglianze che si sono accumulate durante la vita lavorativa e che hanno inevitabilmente un impatto sulle pensioni, molto più basse per le donne. Per questa ragione diciamo NO all’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 ani.

7. Le donne sono sotto pressione economica in caso di divorzio

Il divorzio fa aumentare molto chiaramente il tasso di attività delle madri (ciò che è verosimilmente attribuibile al forte aumento dei bisogni dopo un divorzio, e, dunque, alla pressione economica), mentre ha un impatto solo marginale sull’impiego dei padri. L’impatto della combinazione lavoro a tempo parziale e divorzio è più significativo per i salari relativamente bassi, categorie nelle quali si trovano essenzialmente delle donne.

8. Le donne che divorziano colpite da un grande rischio previdenziale

Le ripercussioni del divorzio sulla previdenza per la vecchiaia sono spesso particolarmente gravose per le donne, ma anche sottovalutate. In Svizzera più del 25% delle donne divorziate in pensione deve ricorrere alle prestazioni complementari all’AVS. Dovendosi dedicare ai figli, molte donne divorziate lavorano con grado di occupazione ridotto. Pertanto, soprattutto negli anni successivi allo scioglimento del matrimonio, si producono spesso lacune previdenziali che non vengono colmate. Di conseguenza, anche molto tempo dopo il divorzio e quando cessa la necessità di accudire i figli, emergono spesso notevoli lacune previdenziali, con ripercussioni negative sulla libertà di scelta finanziaria delle donne nella terza età.

9. Le donne si sobbarcano la stragrande maggioranza del lavoro non remunerato

Nel 2020 le donne hanno compiuto il 50% di lavori domestici e familiari in più degli uomini. Sommando il lavoro retribuito e quello non retribuito, nel 2020 le madri che vivevano in economie domestiche composte da una coppia con almeno un figlio al di sotto dei 15 anni hanno lavorato mediamente 69,7 ore alla settimana, di cui 52,3 ore per i lavori domestici, 16,1 ore per il lavoro remunerato e 1,3 ore per attività di volontariato.

10. Le donne vittime del bodyshaming

Una donna su due ne è vittima. Sui social sono le donne ad essere le principali vittime dell’odio: criticate per fisico, i vestiti e il trucco. Attacchi camuffati da frecciatine e battute che mirano a distruggere le persone, vengono tutti racchiusi nel cosiddetto fenomeno del “body shaming”. In particolare, si tratta di preconcetti riguardo al fisico, al modo di presentarsi, vestirsi e truccarsi. Un incubo per il 48% delle donne. Secondo diverse ricerche la maggior parte degli episodi di body shaming avvengono nei confronti delle donne, per le quali le offese vengono accompagnante da commenti sessisti.

11. Le donne colpite dai commenti di odio

L’UNESCO ha lanciato una compagna contro la violenza online e l’hate speech (linguaggio d’odio) di carattere sessista nei confronti delle donne, in particolar modo politiche e giornaliste.  Il contenuto dei messaggi d’odio è un insieme di misoginia, razzismo e bigottismo, spesso collegato a stereotipi culturali che trovano facile eco nel pubblico. Il linguaggio d’odio sessista è un fenomeno quotidiano per molte donne; per contrastarlo non bastano iniziative legali, sono necessarie azioni positive di contrasto agli stereotipi di genere, che si preoccupino anche del linguaggio quotidiano.

12. Le donne sono sottorappresentate in politica

Sebbene siano stati compiuti passi avanti, le donne sono ancora sottorappresentate in politica. In Ticino il Consiglio di Stato è tutto al maschile, mentre nei Municipi la presenza delle donne è ancora troppo timida, se non inesistente. A 50 anni dal diritto di voto delle donne sul piano federale, c’è ancora molto da fare.

13. Le donne confrontate con una medicina non abbastanza attenta al genere

Dati alla mano, l’OMS lo spiega chiaramente: i sistemi sanitari a livello globale sono sorretti da donne. Esse rappresentano il 70 per cento della forza lavoro, ma soltanto il 25 per cento di loro ricopre ruoli dirigenziali. La gestione dell’emergenza Covid-19, dove in una prima fase le donne sono state quasi totalmente assenti a livelli istituzionali di vertice, ha messo in evidenza che non basta la competenza femminile ma occorre anche la loro presenza ai vertici delle organizzazioni ed istituzioni.

14. Le donne vittime di violenza domestica

Ogni due settimane una persona muore a causa della violenza domestica; in media 25 l’anno, tra cui quattro bambini (2009-2018). Ogni settimana la polizia registra un tentato omicidio (in media 50 l’anno). Tra il 2009 e il 2018 sono stati commessi 249 omicidi.  Il 74,7% delle vittime sono donne e ragazze, il 25,3% sono uomini e ragazzi.

15. Le donne stentano ad aver giustizia

Il Tribunale federale ha accolto il 27 per cento dei ricorsi interposti in virtù della legge sulla parità dei sessi. Questo il risultato di uno studio commissionato dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo. Dallo studio emerge inoltre che due terzi dei casi giudicati avevano per oggetto la discriminazione salariale e che oltre la metà riguardavano professioni del settore sanitario o della formazione. In futuro, in caso di discriminazioni basate sul sesso, andrebbe esteso il diritto di azione delle organizzazioni o alleviato l’onere della prova nei casi di molestie sessuali e discriminazione nelle assunzioni. 

16. Le donne sono più esposte al rischio di povertà

Nel nostro paese – e in particolare in Ticino – la povertà non è un fenomeno così marginale come molti potrebbero pensare e colpisce in modo diverso le persone non solo secondo il sesso, ma anche in base ad altri fattori come l’età o la tipologia di famiglia. In Svizzera il tasso di povertà assoluta e il tasso di rischio di povertà risultano essere più alti per le donne. In Svizzera le famiglie più esposte alla povertà sono le monoparentali, nelle quali l’unico membro adulto è quasi sempre una donna. Le donne in generale lavorano e guadagnano di meno, il che spiega in parte la loro maggiore esposizione alla povertà.

17. Le donne pagano con il licenziamento la gravidanza

Una gravidanza su sette porta al licenziamento. La maternità non dovrebbe portare a una discriminazione sul posto di lavoro. Ma spesso accade diversamente. Nel 15% dei casi una nascita porta infatti alla disoccupazione involontaria. Di solito a causa di un licenziamento oppure per l’impossibilità di ridurre la percentuale di lavoro. Un ulteriore 4% si ritrova invece costretto a lasciare il posto di lavoro per la mancanza di posti negli asili nido. Altre donne vengono licenziate perché rifiutano il demansionamento. Un’analisi delle sentenze dei tribunali cantonali relative alla legge sulla parità dei sessi tra il 2004 e il 2015 mostra che un terzo di tutte le discriminazioni è in relazione a gravidanza o maternità e in molti casi si tratta di licenziamenti avvenuti dopo il congedo maternità. In questi casi, le possibilità per le ricorrenti di ottenere ragione in tribunale sono molto limitate.

18. Le donne migranti raddoppiano le discriminazioni

Essere donna nella nostra società espone già di per sé a una serie di discriminazioni, ma quando a questo si aggiunge un percorso di migrazione, le cose si complicano ulteriormente dando origine a una doppia discriminazione. Le donne rappresentano circa la metà della popolazione migrante in Europa: fuggono dalle guerre, dalla povertà e da situazioni fatte di violenza e sottomissione: la discriminazione di genere può essere una concausa della loro partenza, durante il loro viaggio subiscono spesso prevaricazioni e violenze e non è detto che queste finiscano una volta giunte nel paese d’accoglienza, dove le forme di discriminazione possono essere molteplici.

19. Le donne nella trappola del telelavoro

Con il telelavoro si lavora di più e si è condannati a una perenne connessione.  L’emergenza trasformata in normalità ci costringe a pensare all’home-working come a un fatto positivo, creativo, conciliativo. Ma non è così. Laddove le comunità di lavoro si atomizzano e si frammentano, si compromettono irrimediabilmente i legami solidaristici. Il pericolo è che in futuro milioni di persone conosceranno soltanto il modello del lavoro in solitudine. Un’analisi basata su dati reali e testimonianze sul telelavoro che ha trasformato le nostre case in uffici, ha portato alla luce ruoli e rapporti tra sessi che pensavamo molto più evoluti e maturi per il raggiungimento di quella parità di genere che la quarantena ha invece mostrato essere ancora molto lontana. Lavorare da casa è stata un’impresa di extreme working per molte donne, ha evidenziato l’esistenza di una disparità di ruoli, ancora fortemente radicata nel nostro tessuto sociale.